15 marzo 2009

1991 Gen - una frase continua a girarmi...






Una frase continua a girarmi nella testa come un tomentone, una frase che mi disse Barbara poco prima di partire per l'America: "voglio che la mia vita sia meravigliosa".
C'è poi un'altra frase che lei mi disse che non riesco a dimenticare: "ricordati sempre che sei una persona meravigliosa".
Grazie Barbara anche tu.

# Gennaio 1992 #

1991 Dic - Per potersi donare...

Per potersi donare a qualcuno nel giusto modobisogna prima di tuttoapprezzare se stessi e in secondo luogo non essere egoisti e donarsi completamente. Chi non si apprezza sarà convintodi donare all'altroqualcosa che non ha valore e allora l'altro avrà tutti i diritti di rifiutare il regalo.

# Dicembre 1991 #

25 ottobre 2008

MIRCO & ROBBY






MIRCO & ROBBY
un uomo e una donna
un bambino e duna bambina
due amici, un amore
una grande amicizia.

# Aprile 1991 #

1991 mar - Barbara

Il suo nome aveva un retaggio nordico
sapeva di nebbie e afrori
ma ora in me ricorda solo lunghi capelli neri
e occhi profondi in cui annegare per sempre

# Marzo 1991 #

1991 mar - La stanchezza dei secoli






Nelle umide mattinate di inizio primavera
quando i muscoli delle palpebre si rifiutano di funzionare
quando l'acqua riesce ad infilarsi sotto la pelle
la gente è strana: più silenziosa, pensierosa
tutti parlano a voce bassa e camminano guardando nel vuoto
il portico è affollato da anime in pena alla ricerca del significato della vita
un cane grasso e basso si aggira indisturbato e inosservato
su ognuno il peso dell'intero universo
e addosso la stanchezza di mille secoli

# Marzo 1991 #

28 settembre 2008

I remember

Una serata di grande euforia

una ragazza dalle tante parole

I remember

Un incontro casuale

alla fermata dell'autobus

I remember

Dei pranzi e delle cene.

Una sera di San Valentino,

una rosa, una dichiarazione, la risata, il dubbio.

I remember

un martedì grasso, un viaggio in treno

Venezia, i pagliacci, i coriandoli, il primo abbraccio,

la lente persa, il ritorno, il primo bcio, un regalo,

il libro (Leo Buscaglia),

la notte passata a leggere

I remember

il week end in montagna, Predazzo,

la casa di Laura, la rpima notte, la seconda notte,

il letto a tre piazze, la notte abbracciati,

la mattina seguente, il treno che mi ha investito,

l'amore, il sesso; finalmente uniti

I remember

le lunghe nottate, la loquacità, l'altro,

la sofferenza, il rientroa casa, la strada vuota,

le sigarette.

I remember

i parchi, il sole, i libri, l'erba,

rotolarsi, guardarsi negli occhi

I remember

le doccie, le case, gli amici, i miei lontani,
i gelati.
I remember
ancora Venezia, l'autostrada, la mostra, (Andy wharol)
I remember
il 30, la tesi, il vestito, i genitori,
la notte, la mattina seguente, il regalo, il sesso.
I remember
Pescara, la sorella, Filippo
I remember
Rimini, ancora una volta Rimini, Marina
ancora una volta Marina, l'odio, i silenzi,
i mondiali
I remember
tu, ancora tu, solo tu, amore!
I remember
Bergamo, la casa, i fratelli, Tino
la Cantalupa, Milano, l'aereo.
I remember
Londra, l'areoporto, i parchi, la metropolitana,
la vie, la coppia, le due coppie, l'hotel,
il Berkshire Hotel, il bagno, il letto, l'amore,
la mattina dopo, ancora l'areoporto, l'abbraccio,
le lacrime, l'addio.
I remember
le lettere, le telefonate, i pianti, le tentazioni,
le voglie, le paure, le certezze, la fiducia, l'attesa
I remember
il mese in più, il ritorno, il dubbio, il tuo viso,
le mie lacrime, la disperazione, l'addio
I remember
il vuoto.

Tutto qui quello che c'è stato fra noi?
Abbiamo imparato qualcosa?
Mi ricordi?
Do you remember me?
Faccio di tutto perchè non accada,
ma sei troppo forte; sei nelle mie vene,
nella mia carne, nelle mie ossa, nella mia mente.
E non riuscirò mai a mandarti via.
Se non al presso di perdere anche me stesso.
Spero solamente di avere il cuoretanto grande
da farci entrare ancora, una persona,
quella giusta stavolta, o per me sarà la fine.

#13 marzo 1991#











21 settembre 2008

Stamattina mi sono svegliato, ho acceso la luce, sono sceso dal letto, mi sono strascinato fino in bagno e mi sono lavato la faccia.
Perché non mi sono svegliato? Perché, come accade di solito, l'acqua gelata buttata sul mio viso non ha scatenato in me nessuna scarica di adrenalina, alcuna sensazione di rinascita, la benché minima voglia di affrontare la giornata?
Sono sceso a fare colazione: ho scaldato il latte, preparato la tavola, scelto i biscotti, aggiunto al latte la giusta quantità di caffè. Ho inzuppato gli sfiziosi biscotti fino alla sete. Ho ingerito l'intera tazza ricolma senza prendere respiro e l'ho riposta sul tavolo. Poi ho fissato il vuoto: perché non ho avuto la solita sensazione di pienezza? Perché mi sono alzato automaticamente dalla sedia e non ho provato la sensazione che il latte scivolasse verso il basso del mio stomaco?
Afferro la maniglia della porta. Perché non ne percepisco la bassa temperatura?
Esco di casa. Ancora niente. Non riesco a provare nulla. Nè la gioia di andare verso cose nuove, verso la scoperta delle prossime dodici ore, verso nuove sfide e difficoltà. Nè la paura di lasciare la sicurezza della propria casa, la paura delle incognite.
Niente; potrebbe svolgersi un conflitto a fuoco di fronte a me e io gli andrei incontro senza provare disagio o alcunché.
Via Zamboni, zona universitaria, centinaia di persone che passano, si spostano, corrono, parlano, incampano, riflettono. Ricordo di aver avuto la sensazione di sentire queste centinaia di cervelli in funzione, come entrare in un giornale le cui rotative vanno a tutto vapore; ricordo di essermi innamoratodi ciò. Adesso arrivo col mio walkman che mi spara nelle orecchie una musica dolce e tranquilla, tutta la mia sensibilità è assorbita dall'apparato uditivo, nessuna sensazione di freddo, faccie tutte uguali mi vengono incontro; cammino seguendo un percorsogia noto, il pilota automatico mi porta a destinazione.
Forse comincio a capire. Tutto intorno al mio corpo c'è una guaina bianca perfettamente aderente, perfettamente termica, indistruttibile, isolante.
io provo a bucarla, ma lei si deforma all'infinito come la plastica di un palloncino, senza rompersi.
Il mondo esterno tenta di sollecitarmi, ma nulla attraversa la mia armatura.
La sera esco con gli amici; ma ancora nessuna reazione, nessuno stimolo riesce a raggiungermi, niente riesce ad uscire.
Mi sdraio nel letto la sera, con tutte le forze cerco di distruggere la guaina, ma qualunque cosa faccia, rimango intrappolato nei miei stessi puerili tentativi.
La vita diventa una noia mortale, tutto è noia, tutto è già visto, tutto mi scivola accanto.
Poi all'improvviso ricordo, è una sensazione già vissuta, è una prova che ho già superato. Devo solo attendere, aspettare, e la guaina un giorno si seccherà e sarà sufficiente una piccola pressione per mandarla in mille pezzi e finalmente uscirne fuori. Svegliarsi pieni di gioia, uscire andando alla scoperta di come sia meraviglioso vivere, la sera con gli amici divertirsi con nulla, addormentarsi con serenità; in una parola sola: AMARE !

#Febbraio 1991#

C'è una ragazza nel mio cuore
c'è una ragazza nella mia vita
c'è una persona meravigliosa accanto a me
adesso è lontana, è partita
ho paura, ho paura, ho paura
ho paura di perderla
ho paura di restare solo
ho paura di me stesso
ho paura, ho paura, ho paura
e se restassi solo
solo, ancora una volta, solo
unicamente, con me stesso
solitudine.
Se ancora una volta avessi dato tutto
e se ancora una volta fosse stato inutile
e se ancora una volta fosse tutto finito
cambiato, doverso, trasformato
cosa posso fare
cosa posso dire
come posso evitare.
Posso scappare, fuggire, urlare
prima che tutto accada
prima che succeda, prima che finisca.
ma ancora una volta dirò no
resterò li per vedere la nave affondare
per andare giù insieme a lei
resterò li senza scappare
perchè io l'amo
e l'amore è totale, incondizionato
è dolore, è masochismo.
l'amore è speranza, incoscenza
è aspettare, è sognare.
Non c'è niente che posso
solo amare.
E se lei non tornerà
a se lei la resterà
io non soffrirò
perchè io l'amo
e l'amore è bellissomo, è gioia
è vita, è eterno
l'amore è perfetto
e niente lo uccide
è solo sospeso.

#Novembre 1990#

Ci sdraiamo in un piccolo letto
due occhi, due stelle
la bocca, un frutto proibito
i capelli, l'oceano infinito

Ci baciamo in un piccolo letto
il caldo, la rugiada
il buio, la fantasia
l'emozione, la serenità

Ci abbracciamo in un piccolo letto
la presenza, la forza
la sidurezza, la tranquillità
la pace, la serenità

Ci tocchiamo in un piccolo letto
le curve, la sensibilità
il calore, la passione
la scoperta il profumo

Facciamo l'amore in un piccolo letto
lo sforzo, latensione
l'uragano il fulmine
l'unverso in un solo attimo

#Giugno 1990#

07 settembre 2008

Il nuovo amore

il nuovo amore è più maturo
sembra quasi non appartenerci
a cui non apparteniamo
ci scivola via fra le dita
ha un gusto un po' amaro

Il nuovo amore è più semplice
non ci complica la vita
non ci da preoccupazioni
continua un giorno dopo l'altro

Il nuovo amore è razionale
non ci entra nelle ossa
ma solo nel letto

Il nuovo amore è meglio del vecchio
è senza dolore
nel bene enel male
è senza confini
è senza pudore

Se il nuovo amore è così
perchè adesso è andato via?
perchè adesso non c'è?
mi sembra un vecchio?

#Giugno '90#

Com'è lontana, irraggiungibile
un mare ci separa
sono solo
nessuno mi aiuta.
Cerco chiarezza, lucidità
limpidezza.
Riuscirò atrovarla?

#Marzo '90#

Il respiro è difficile
il cuore è pesante
la mente è confusa
duebraccia mi stringono
due gambe mi abbracciano
è tutto chiaro
ma solo per un attimo
poi ancora il caos.

#Marzo '90#

Aiuto aiutatemi
stò precipitando
cado in un baratro
cado in un pozzo
e in fondo ci sono delle lame
non riesco a tenermi
non trovo appigli
le pareti sono troppo distanti
non c'è più luce.

Perchè sento profumo?
sono fiori
un campo verde
una grande luce
due grando icchi
sento un profumo
è pelle bianca
sono capelli neri.

Non salvatemi
anche se grido aiuto lasciatemi cadere.

#Marzo '90#

Uno scintillio
un luccichio
la guardo
e dietro i suoi occhi
vedo l'universo, vedo me stesso;
gli scruto l'anima
riesco a cedere distintamente
ciò che nessuno può disegnare,
dipingere, descrivere, rubare,
comprare, toccare.
Dietro due grandi occhi neri
ho visto l'amore.
(Che dolore, quei due grando icchi neri non stavano guardando me)

#Febbraio '90#

In quanti modi
possono guardare due occhi neri.
Per me voglio solo uno sguardo.
In quanti modi ti possono guardare
due enormi occhi neri.
Uno solo è quello che mi interessa.
Che cosa si vede
guardando in due occhi neri.
Solo una cosa voglio vedere.
Lo cerco lo trovo, ecco lo sguardo,
non mi serve nient'altro.

#Febbraio '90#


L'APPELLO

ti bacio e sento il miele
ti stringo e abbraccio il mondo.
C'è qualcuno in grado di sopportare tutto l'amore che ho da darle?

#gennaio '90#

LUI: ciao, come stai?
LEI: io bene e tu?
LUI: non c'è male grazie. E' molto tempo che non ti fai vedere.
LEI: io? Sei tu che non ti fai più vivo.
LUI: Cosa mi racconti di bello?
LEI: Ma, io poco e tu?
LUI: come poco, ho sapto che stai con un ragazzo ormai da un po'.
LEI: si è vero, ormai è un anno.
LUI: e come va, come va, non hai avuto dei malanni improvvisi?
LEI: sei il solito stupido, dai non dire certe cose.
LUI: hai ragione, scusa, allora sei contenta?
LEI: direi di si.
LUI: sono contento per te.
LEI: si mi trovo bene; saisiamo una coppia molto aperta, ci lasciamo molta libertà, lui esce coi suoi amici, io coi miei; non siamo gelosi; io posso uscire con un mio amico da sola e lui non dice niente, e anche lui può farlo; basta che non sia sempre la stessa (risatina)
LUI: a beh certo, è bello così.
LEI: scusa devo scappare, ciao.
LUI: vai pure, anch'io devo scappare, ciao.

Lui se ne andò riflettendo su cosa significa amarsi.

#Dicembre '89#

14 luglio 2008

2008 Luglio - Da Parigi a Londra in Monopattino





















Da Parigi a Londra in monopattino

(in 5 giorni)

Se volete contattarmi potete farlo al seguente indirizzo:
tagliatima@gmail.com sarò felice di leggere i vostri commenti

Mappa del percorso

02 Luglio 2008 Mercoledì
Finalmente ci siamo, siamo sotto
la Tour Eiffel, dove siamo giunti in taxi dall’hotel con i monopattini
(ancora imballati) al seguito.

Pare incredibile, ma tra pochi
minuti, dopo avere montato le ruote anteriori ed avere rimosso alcuni metri
di spago e pezzi di nastro adesivo, che consentivano di trasportare (in
treno soprattutto) i nostri  strani ed originali mezzi di trasporto,
incominceremo a dare all’asfalto della “Ville Lumiere” le prime “pedate”,
cambiando gamba mediamente ogni sei spinte, e non – si badi bene – per
fare un giretto turistico per il centro della città, bensì per dirigerci
nientemeno che, verso… Londra!

Ancora pochi minuti e mesi di sogni
e duri allenamenti (quasi 1.200 km. solo negli ultimi tre mesi) cederanno
il posto alla faticosa ma affascinante realtà della strada.

Certo, a pensarci ora, sotto la
ferraglia imponente della torre che ci sta riparando dalle prime gocce
di pioggia (cominciamo bene!), pare una distanza impossibile da percorrere
in soli 5 giorni.

Attendiamo che spiova, almeno per
il momento; beviamo l‘ultimo caffè in un chiosco, scambiamo quattro chiacchiere
amichevoli con un cicloturista spagnolo incuriosito dai nostri mezzi (il
monopattino lo chiama “Patìn” e dice di non averne mai visti di questa
foggia in Spagna).

Ci diamo la carica con il nostro
tipico grido da samurai, e finalmente partiamo.
 
Eravamo giunti a Parigi due giorni
fa, dopo un viaggio un po’ lungo e faticoso, dettato dalla necessità sia
di non dovere caricare
i monopattini su un aereo, sia di evitare di viaggiare
in treno di notte, dormendo male e sprecando preziose energie che ci sarebbero
servite nei giorni successivi.

Così era venuta fuori la strana
combinazione di treno da Bologna a Torino, pullman da Torino a Chambery
ed ancora treno (anzi, un velocissimo TGV che aveva toccato una punta di
304 chilometri orari, calcolati col nostro piccolo Gps da polso) da lì
a Parigi.

La sera eravamo andati a dormire
presto, dopo una cena nutriente ma leggera in un locale nei pressi dell'hotel, vicinissimo alla Gare de Lyon, prenotatoci da Bologna; così come
anche i treni ed il pullman, da Valentina, la nostra agente di viaggio
di fiducia.

Il giorno seguente (ieri) lo avevamo
trascorso immersi in una strana atmosfera a metà tra la spensieratezza
della giornata libera e l’ansia che precede l’inizio vero e proprio di
una grande avventura.

Il mattino era stato dedicato alla
visita del Museo D’Orsay, raggiunto a piedi dall’albergo dopo una bella
passeggiata e pieno di opere dei più grandi impressionisti.

Una vera scorpacciata di immagini
uniche, dei vari Monet, Van Gogh, Renoir, Gauguin, quasi un’”overdose”
di bellezza in poco più di tre ore.

La sera ci eravamo incontrati a
cena con Corina, una amica (ed ex fidanzata) di Simone, suo grandissimo
amore dei primi anni ’90, nata in Romania e poi emigrata in Francia, dove,
oltre a specializzarsi in psichiatria, sposarsi e poi divorziare, è diventata
cittadina francese e lavora come psichiatra.

E’ ancora una bella donna, e una
delle più convinte (e tecnicamente credibili, visto il lavoro che svolge)
sostenitrici della tesi che Simone è matto.

Se così è – e non ho motivo di
dubitarne – vuole dire che sono pazzo anch’io, che da decenni lo accompagno
nelle imprese più sconsiderate.

Quella che stiamo per intraprendere
sta per avere inizio…

 
Come per salire la montagna più
alta occorre fare un primo piccolo passo, così noi abbiamo deciso anzitutto
di raggiungere l'Arc de Triomphe;  la cosa riesce abbastanza facilmente
in una decina di minuti, districandoci in mezzo al traffico.

Qui giunti però comincia il difficile;
è chiaro che non possiamo certo iniziare a chiedere qui: "Scusi, per
Londra?" o meglio "Excuse moi, pour aller a Londres?".

Non essendo degli sprovveduti, abbiamo redatto un itinerario con l'aiuto
del sito “viaMichelin.it” , grazie al quale ho preparato tappe di circa
80 km giornalieri; chiediamo quindi indicazioni ad un auto della Polizia,
domandando del primo paese lungo la strada, subito fuori Parigi, che figura
sul mio itinerario; molto gentilmente loro si fermano, scendono dall'auto
e guardando increduli i nostri monopattini (anzi, "trottinettes"),
ci spiegano cortesemente che il paese in questione è “molto lontano”,
al che noi spieghiamo loro, altrettanto gentilmente, che in realtà è nostra
intenzione arrivare a Londra, anche se non in giornata.

Fra l'incredulità e lo scetticismo
ci suggeriscono di seguire la statale N1 e prendono congedo da noi con
una frase che ci accompagnerà per tutto il viaggio: "Bon courage!",
che pensiamo sia traducibile con il nostro “In bocca al lupo!”

In realtà il mio itinerario era
da subito un po’ diverso ma preferiamo attenerci al suggerimento dei poliziotti,
più semplice da seguire, anche se ne risulterà qualche chilometro in più.

Quello della difficoltà di seguire
alla lettera l’itinerario tracciato dal sito della Michelin diverrà una
costante del viaggio, e praticamente ogni giorno finiremo, vuoi a causa
di piccoli sbagli di percorso, vuoi per seguire l’indicazione più semplice,
per percorrere più chilometri del previsto.

Viviamo l’interessante esperienza
di attraversare tutta la città, passando dal centro storico, ai quartieri
residenziali, alla periferia, ed infine, poco dopo il quartiere di St.
Denis, imbocchiamo la statale N1.

Ma quest’ultima, dopo pochi chilometri,
da strada ad alto scorrimento si trasforma in una vera e propria superstrada
a due corsie per senso di marcia, senza neppure la “salvezza” di una
corsia di emergenza; noi monopattiniamo stando più a destra possibile,
ma le auto ed i camion che ci sfrecciano accanto a 150 km/h, spesso suonandoci
il clacson, ci convincono in fretta ad uscire alla prima occasione, che
fortunatamente non si fa attendere.

Proviamo allora, cartina alla mano,
a riprendere le mie indicaz
ioni originarie.
Nel frattempo, mentre siamo giunti
in aperta campagna, inizia a piovere, prima piano, poi sempre più forte.

Alle 14.30 dopo aver percorso circa
40 km, siamo affamati e fradici; mentre continua il diluvio ci fermiamo
a mangiare in località Auvers sur Oise, dove si trova la casa di Vincent
Van Gogh e do
ve il grande pittore ha creato alcune delle sue opere.
Siamo un po’ avviliti, abbiamo
addosso solo abiti bagnati e non ha senso o
vviamente utilizzare per la
breve pausa pranzo l’unico cambio di abiti asciutti, destinati alla sera.

Quando ripartiamo dopo il pranzo ha quasi smesso di piovere, ed in cima
alla collina, appena fuori dal paese, ammiriamo un bellissimo campo di
grano, con spighe a perdita d’occhio ed un cielo con nubi altamente suggestive,
di sicura ispirazione per il pittore.


La nostra illusione di attraversare una vasta pianura da Parigi a Calais
si infrange ben presto, ci accorgeremo anche i prossimi giorni che dovremo
superare continui saliscendi, su quote comprese tra gli 80 ed i 200 metri
sul mare.

Tra distese infinite di grano e mucche a perdita d’occhio, rasserenati
dalla fine della pioggia percorriamo chilometri e chilometri, incontrando
paesi e fermandoci a bere in tipici bar della provincia francese.

Sembra un po’ di vivere l’atmosfera
fuori dal tempo della canzone “Bartali”, di Paolo Conte, l’unica differenza
è che qui con noi i Francesi non si “incazzano” ma sono gentili e sorpresi
dai nostri monopattini.

La giornata si conclude alle 19.30
a Beauvais, dopo 94 km, contro i 78 previsti.

Dopo avere incontrato alcuni motel
in periferia optiamo per il centro, avendo saputo che vi si possono trovare
con facilità vari alberghi.

Giunti sul corso principale scegliamo
un albergo a due stelle dove ci fermiamo.

Le nostre uniche scarpe sono completamente
bagnate (per motivi di peso quelle con cui monopattiniamo sono le stesse
da indossare la sera).

Chiediamo alla signora della reception
una stanza dotata di asciugacapelli, e ne otteniamo ad un prezzo conveniente
una molto ampia, in realtà una sorta di miniappartamento.

Prima di poter uscire a cena trascorriamo
quasi un’ora a testa nel tentativo di asciugare le scarpe e gli abiti
sportivi (con cui naturalmente dovremo ripartire domani).

L’impresa riesce solo in parte,
e usciamo a cena in un ristorante assai vicino all’albergo con le scarpe
ancora un po’ umide.

Per digerire facciamo quattro passi
tra le vestigia medievali della cittadina, suggestiva come quasi tutte
le località francesi.

Siamo molto stanchi ed il pensiero
che oggi è stato solo il primo giorno non è affatto rassicurante.


PARTENZA: Parigi (FRA)
ARRIVO: Beauvais (FRA)
94.18 km in 6h 28'






03 Luglio 2008 Giovedì
La sveglia puntata alle 7 ci coglie
ancona assonnati e carichi di stanchezza.

Appena scesi dal letto pare impossibile
poter ripartire in monopattino e percorrere anche oggi così tanti chilometri.

Naturalmente la prospettiva appare
meno cupa dopo un’ abbondante colazione ed alcuni minuti di stretching.


Gli abiti sportivi sono più o meno
asciutti, i calzini restano la cosa più umida.

Il cielo è nuvoloso e la temperatura
di circa 20 gradi.


Come ieri troviamo dei leggeri
saliscendi, ma la cosa che più preoccupa sono le nuvole, sempre più nere.


L’estrema mutevolezza del tempo
pare essere una costante di queste regioni, la pioggia, il vento, le nubi,
il sole (che quando riesce a spuntare in realtà picchia forte) vanno e
vengono, alternandosi decine di volte al giorno, rendendo molto difficile
scegliere l’abbigliamento adeguato.

E’ un continuo mettere e togliere
il k-way, avere freddo ed avere caldo.


Le nubi attraversano il cielo di
Francia a gran velocità, conferendo al paesaggio rurale colori sempre diversi,
affascinanti ma evidentemente differenti da quelli tipicamente mediterranei
cui siamo abituati.


Dopo circa 20 chilometri troviamo all’ingresso di un paese un fornito
negozio che vende biciclette: ne approfittiamo per chiedere al titolare
(assai gentile come quasi tutte le persone incontrate) di poter dare una
bella gonfiata alle ruote.


Ripartendo percepiamo subito una
maggiore scorrevolezza, ma dopo circa tre chilometri la mia ruota anteriore
è completamente a terra.


Vengo preso quasi dal panico ricordando
le svariate forature alla stessa ruota (non meno di tre!) capitatemi nel
corso degli allenamenti delle ultime due settimane; la cosa che più mi
inquieta è che non ne ho mai capito la causa, ho cercato con cura, e lo
faccio anche stavolta, un’eventuale spina - anche minuscola – infilata
nel copertone, che possa spiegare le forature consecutive, ma niente!  

Ci fermiamo al bordo della strada
e, con l’aiuto di Simone sostituisco la camera d'aria mentre (le sfighe
non capitano mai sole) comincia a cadere qualche goccia.


La piccola pompa d'emergenza con
cui gonfiamo la nuova camera d’aria non consente una perfetta gonfiatura,
ma solo quella sufficiente a raggiungere il più vicino negozio di bici
che, per nostra buona sorte si trova in un paese che dista soltanto cinque
chilometri.


Vi giungiamo verso le 13.30 e scopriamo
che il negozio aprirà alle 15, pertanto ci fermiamo a mangiare qualcosa.


Anche quest’anno la strategia
del pasto di mezzogiorno (che deve essere nutriente ma non troppo pesante)
consiste nel reintegrare i liquidi ed i sali minerali perduti con una bella
insalata mista e/o con una bella zuppa, cui facciamo seguire un po’ di
carboidrati o proteine, a seconda di quello che troviamo nei menu.


All’apertura del negozio (trattasi
in realtà di un emporio di attrezzature varie, da lavoro e da giardino)
completiamo il gonfiaggio della mia ruota ed io acquisto una nuova camera
d'aria di riserva.

Riparto col terrore di ritrovarmi
a breve con la ruota nuovamente a terra, ma fortunatamente non accade.


Ricomincia la pioggia, ma per fortuna
oggi è meno intensa e di minor durata rispetto a ieri; contro di noi, in
alcuni tratti di pianura, spira anche un fastidioso vento. Attraversiamo
zone collinari, con alcune erte abbastanza ripide.


Dovendo fare così tanti chilometri
affrontiamo, di comune accordo, i tratti di salita in modo da non affaticarci
troppo e
da non fare salire eccessivamente le pulsazioni (monitorate, come
ci siamo abituati a fare in anni
di allenamenti – dapprima in bici ed
ora anche in monopattino – col cardiofrequenzimetro posto sul manubrio).


Ci rendiamo conto che, anche se
massacranti, i numerosi allenamenti compiuti sia salendo lungo la Via di
Casaglia, sia addirittura lungo il primo tratto della strada che porta
al Santuario di San Luca, sono stati preziosi.


Finalmente ci concediamo una piacevole
sosta per un tè ed una fetta di torta alla frutta, seduti all’aperto e
sotto un tiepido sole al tavolino di un bar.

Le soste per bere e mangiare sono
uno degli aspetti più piacevoli (oltre che assolutamente necessari) del
viaggio; mai come quando si fanno tanti chilometri e tanta fatica si apprezzano
cose che normalmente diamo per scontate, quali una fontana al centro di
una piazzetta, una panchina ove mangiare la frutta acquistata nel negozio
poco lontano, una spremuta di arancia e così via; il tutto condito quasi
sempre dalle quattro chiacchiere con qualcuno, cercando di intendersi in
inglese o in un francese maccheronico, spesso per chiedere informazioni
sull’itinerario, altre volte per spiegare il nostro viaggio a persone
incuriosite alla vista dei nostri monopattini.  

Terminata la merenda veniamo a
sapere dai presenti, che nel paese (che dista ancora una decina di chilometri)
dove avevamo deciso di fermarci non esistono alberghi.  


Tutti ci consigliano di deviare
verso la cittadina di Abbeville; seguiamo con piacere il consiglio, anche
perché non sembra comportare, cartina alla mano, un significativo aumento
della distanza da percorrere.
Poco dopo che si siamo rimessi
in marcia ci rifermiamo presso una farmacia, dove Simone acquista una pomata
per cercare di porre rimedio ad una fastidiosa irritazione della pelle
alle “parti intime”, certamente dovuta allo sfregamento dei pantaloncini,
perennemente umidi per il sudore e la pioggia.

Si rivelerà un buon acquisto ed
il giorno seguente dovrò farvi ricorso anch’io.


Malgrado le soste gli ultimi dieci
chilometri sono un mezzo calvario, la stanchezza è tanta, insomma abbiamo
finito la benzina, anche oggi i chilometri sono stati più del previsto.


Entrati ad Abbeville incontriamo
un paio di alberghi che dobbiamo scartare, vuoi perché pieni, vuoi perché
troppo costosi.

Alla fine optiamo per un hotel
gestito da una coppia che si rivelerà molto gentile e disponibile.

Prima di una strameritata doccia
dobbiamo però affrontare un’ultima piccola prova: il garage di proprietà
dell’albergo, ove potremo parcheggiare i monopattini, non è lì ma si trova
a poco meno di un chilometro.

La padrona ci spiega come arrivarci
e ci dà la chiave, noi facciamo quest’ultimo sforzo in monopattino (all’andata)
e poi a piedi (al ritorno).


Ripresentandoci nella hall vediamo
una specie di fata che dopo avere finito di parlare con la signora sale
nella sua stanza.


Simone riesce a scoprire che si
tratta di una giovane regista francese che si trova qui perché in questi
giorni Abbeville ospita una rassegna, non capiamo bene se cinematografica
o documentaristica.


Tenteremo invano di rivederla prima
di ripartire, forse è stata solo un’apparizione, un parto della nostra
fantasia alterata dalla stanchezza e dai chilometri…


Dopo una doccia favolosa e dopo
che abbiamo teso attraverso la stanza un filo a cui appendiamo ad asciugare
gli abiti sportivi da viaggio, con quale puzza di sudore vi lascio immaginare,
ci appoggiamo sul letto.

Trascorriamo il tempo sino all’ora
di cena rilassandoci e guardando in tv una partita di tennis dei quarti
di finale di Wimbledon, poi scendiamo nella hall e chiediamo alla signora
di suggerirci un buon ristorante.


Lei ci consiglia tre possibili
locali, e noi, dopo pochi passi nel freddo della sera (la temperatura si
è abbassata, o noi siamo così stanchi che sentiamo più freddo di quello
che fa realmente) scegliamo quello più vicino, proprio di fronte all’hotel.


Siamo così cotti che anche la passeggiatina
per digerire prima di andare a dormire si limita a meno di dieci minuti.


PARTENZA: Beauvais (FRA)
ARRIVO: Abbeville (FRA)
90.14 km in 6h 08'




04 Luglio 2008 Venerdì
Durante la notte mi sono svegliato
con uno strano ed incomprensibile malessere, mi sono messo addosso altre
coperte e sono riuscito a riaddormentarmi soltanto dopo una quarantina
di minuti.


La sveglia suona ancora alle 7
e siamo sempre più stanchi.
Prima di partire chiediamo alla gentile signora dell'albergo se nel paese
di Liques si possa trovare da dormire.


Lei ed il marito, dopo affannose
ricerche su Internet, trovano una c.d. “chambre d'houte” nel paese di
Marquise, non troppo lontano dal nostro obiettivo; la signora gentilmente
telefona e per la prima volta
ci troviamo una camera già prenotata per
la sera, con previsione di arrivo verso le ore 19.


Sarebbe estremamente importante
riuscire a rispettare la tabella di marcia e dormire a Marquise, dato che
ci consentirebbe di trovarci domattina a soli 23 km. da Calais, con la
possibilità quindi di imbarcarci presto ed affrontare le incognite delle
strade Inglesi con quasi tutta la giornata a disposizione.


Ma, come vedremo, il destino deciderà
diversamente…


Partiamo, per la prima volta sotto un bel sole, la temperatura è ideale
perché non fa neppure troppo caldo.


Dopo una rampa in salita per uscire
dal paese ed alcuni problemi con la scelta della direzione da seguire in
occasione di alcune rotonde, la strada diventa presto bella e poco trafficata.

Sembra che le cose vogliano filare
per il verso giusto, ci alterniamo a fare l’andatura, chiacchierando e
macinando chilometri attraverso le campagne, fermandoci in media ogni 50
minuti a bere, comprare un po’ di frutta o soltanto a riposare qualche
minuto, talvolta sdraiati sull’erba ai bordi della strada.


Ma i problemi non tardano a presentarsi,
io buco ancora, e sempre la stessa ruota anteriore (che dovrei portare
a Lourdes, già che siamo in Francia!)


Sono le 13 e siamo in un agglomerato
di poche case in mezzo alle campagne.

A questo punto Simone fa riaprire,
bussando contro la vetrata, un forno che aveva appena chiuso, e acquista
due baguette di pane e alcuni "Pan au chocolat" (specie di brioches
farcite).
La famiglia del panettiere ci incoraggia
con il solito “Bon courage!”, ma non dispone di alcuna pompa da bicicletta.

Così, nonostante avessimo previsto
una bella sosta per mangiare come si deve, finiamo per consumare a mò di
pranzo ciò che Simone ha acquistato, malinconicamente seduti su di un muretto
all’ombra, soli nel silenzio della campagna, punteggiato soltanto dal
verso delle cicale.

Finito di mangiare sostituiamo
la camera d'aria e proseguiamo.


Dopo alcuni chilometri facciamo
una sosta davanti a quello che sembra un bar, sia per bere e riempire le
borracce che  per chiedere una pompa con cui gonfiare come si deve
la mia ruota.

L’unico strumento che abbiamo
con noi per gonfiare le ruote infatti, è una piccola pompa d’emergenza,
in grado di gonfiare una ruota quel tanto che consente di percorrere i
chilometri necessari a trovare un meccanico; ciò ovviamente per motivi
di peso e di spazio, considerato il minuscolo bagaglio che ci portiamo
appresso, in minima parte dentro lo zainetto che portiamo in spalla, il
resto nell’involucro legato con elastici al mini-portapacchi fissato alla
parte anteriore del monopattino.

Forse le foto renderanno meglio
l’idea.


Non appena mettiamo piede all'interno
del locale ci accorgiamo che è
pieno di mobili antichi: pensiamo di esserci
sbagliati e facciamo per uscire ma… ci accorgiamo che è anche un bar; insomma,
come ci spiega il simpaticissimo proprietario, trattasi del primo caso
(si capisce che ne è molto orgoglioso) di negozio di “Barantiquario”,
dove il marito può sbronzarsi mentre la moglie sceglie una lampada antica…

Malgrado la simpatia il titolare
ed il giovane figlio non possiedono una pompa, tuttavia, mentre noi siamo
lì lì per ripartire il padre ci suggerisce di attendere e telefona ad un
amico che abita nei pressi e che può aiutarci.

Trascorrono pochi minuti ed in
lontananza vediamo avvicinarsi una sorta di sergente Garcia di Zorro, grasso,
sudato e con grandi baffi, con in mano una pompa da bicicletta di quelle
portatili, appena meglio della mia.

Cerchiamo comunque – anche per
non essere scortesi con persone così amabili – di gonfiare un po’ di
più la camera d'aria della mia ruota anteriore, ringraziamo calorosamente
e ripartiamo.


Ci stiamo avvicinando ad una zona
collinare: oggi i saliscendi sono più ripidi ed in un paio di occasioni,
onde evitare
di far salire troppo le pulsazioni, camminiamo spingendo a
mano i nostri mezzi.


Giunti ad un bivio vediamo una
casa con alcuni bambini che stanno giocando in giardino, ipotizziamo che
possiedano delle biciclette e quindi una pompa; domandiamo alla mamma,
che tuttavia ce ne fornisce soltanto una piccola come la precedente, sostanzialmente
inutile per noi.

Dall'altro lato della strada notiamo
quello che ci sembra essere un bar e chiediamo alla signora se è possibile
mangiarvi
qualcosa, lei chiama un signore che si trova ad una certa distanza e questi,
una volta giunto e dopo avere parlottato un po’ con lei, si rivela essere
il marito e ci accompagna presso il locale che abbiamo adocchiato e che
tuttavia è chiuso.

Alla fine ci fanno entrare in una
specie di spaccio, adiacente a quello che probabilmente è una specie di
pub serale e ci chiedono di cosa abbiamo bisogno; noi, un po' imbarazzati
per aver arrecato tanto disturbo, comperiamo due confezioni di biscotti,
che vanno presto a far compagnia al frugale pasto precedente.


Dopo altri chilometri di faticosi
saliscendi finalmente troviamo un paese dove, seduti al tavolino di un
bar, riusciamo ad ottenere due sostanziosi sandwich al tonn
o, fatti con
due buone baguettes.


Di certo oggi, a causa del mio
ennesimo contrattempo, non ci siamo alimentati a pranzo come si conviene
a due sportivi, finendo per spilluzzicare qua e là i cibi più disparati…


A poche centinaia di metri dal
bar c’è anche un’autofficina dove riusciamo finalmente a gonfiare decentemente
la mia ruota.

La stanza dove ci attendono disterebbe ancora 38 km, tra l’altro caratterizzati,
a quanto ci dicono, da vari saliscendi.


E’ già pomeriggio inoltrato e
siamo parecchio stanchi, tuttavia rifocillati dalla sosta e dal sostanzioso
spuntino decidiamo di provare ad arrivarci, se non altro per essere già
il più vicini possibile a Calais domani mattina.

Ma il destino ancora una volta
si accanisce contro di noi.


Mentre stiamo percorrendo una ripidissima
discesa, e siamo quindi costretti a frenare spesso per non fare acquistare
ai monopattini una velocità eccessiva, sentiamo uno schianto improvviso
ed attimi dopo Simone deve frenare di colpo con un po’ di paura, perché
capisce di avere forato.


Probabilmente la colpa va attribuita
al surriscaldamento
della ruota dovuta alle lunghe frenate in discesa.
Stavolta però, purtroppo, si tratta
della ruota posteriore, quella più piccola e strana, tipica soltanto dei
monopattini ed i cui componenti (camera d’aria e copertone) non si trovano
in commercio.

Noi prudentemente ne portiamo sempre
c
on noi un esemplare di ricambio di ciascuno dei due componenti, ma il
problema è che la mia pompetta d'emergenza non ha l'attacco adatto a tale
inusuale tipo di camera d’aria.


Occorre quindi, prima di poterla
sostituire, trovare qualcuno che possieda una pompa con il giusto attacco,
che poi non è altro che quello un po’ più largo che si usa per gonfiare
le ruote di gran parte delle moto. 
Anche stavolta nella sfiga siamo
fortunati: dopo avere continuato a camminare in discesa per neppure
un
chilometro, incontriamo un'autofficina che fa al caso nostro.


Mentre
il meccanico francese, disponibilissimo, sta gonfiando la camera d’aria
nuova, si accorge che anche il copertone è rovinato e parte della camera
d'aria ne fuoriesce.

Così sostituiamo anche il copertone,
consapevoli della fortuna enorme avuta per il fatto che il me
ccanico se
ne sia reso conto: in caso contrario dopo poche centinaia di metri la camera
d’aria nuova, priva di protezione, si sarebbe a sua volta forata.

Al momento di ripartire (tutta
l’operazione è durata più di un’ora) ci accorgiamo che ormai è troppo
tardi e non faremo mai in tempo ad arrivare fino al paese di Marquise,
dove abbiamo prenotato la stanza.

Così, correttamente, telefoniamo
per disdire la prenotazione, spiegando l’accaduto.

Ormai è buio: fiaccati nel fisico
dalle ore di sforzo prolungato e nel morale dai contrattempi decidiamo
di fermarci a dormire nella vicina Desvres.

Qui, appena entrati nel centro
del paese dopo una breve salita, chiediamo una stanza alla proprietaria
del primo albergo che troviamo, scassato e polveroso.

La signora ci consente di sistemare
i monopattini nella hall, appoggiati ad un vecchio biliardo.

Dopo la doccia usciamo subito in
cerca di un ristorante perché è tardi, e malgrado tutte le traversie di
oggi concludiamo la giornata in allegria, con una buona cena che ci ritempra
il morale in vista della decisiva giornata di domani.


PARTENZA: Abbeville (FRA)

ARRIVO: Desvres (FRA)

78.30 km in 5h 44'




05 Luglio 2008 Sabato
Dopo una notte trascorsa nella
stanza ampia ma fatiscente e polverosa, con i materassi troppo morbidi,
un discreto freddo (che ci costringe a usare tutte le coperte presenti
nell’armadio) e una clamorosa puzza di sudore (quest’ultima dovuta a
noi, che come al solito abbiamo dovuto stendere gli indumenti bagnati ad
un filo teso nel mezzo della stanza per averli asciutti al mattino), l’alba
ci sorprende stanchi e ansiosi.


La giornata si preannuncia lunghissima,
e comunque decisiva, dato che, oltre ai tanti chilometri in monopattino,
dovremo sobbarc
arci anche la traversata in traghetto e la temuta novità
della guida a sinistra, una volta sbarcati in Inghilterra.


Avremmo dovuto essere a 23 km da
Calais, ci troviamo invece, a causa delle disavventure di ieri, a quasi
50.

Partiamo con l'idea di percorrerne
oggi più che possiamo, a costo di fermarci quasi col buio, in modo da giungere
il più vicino possibile alla meta finale da raggiungere domani.


Simone risente già da ieri sera
di una leggera infiammazione al tendine d’achille del piede sinistro,
fuori il tempo è grigio e, tanto per cambiare, minaccia pioggia.

Facciamo colazione all’alba, con
la padrona che, nonostante la buona volontà, non ha le idee molto chiare
sulle difficoltà della strada sino a Calais.

I monopattini sono ancora appoggiati
vicino al biliardo polveroso, all’ingresso della sordida pensione, che
ci ha ospitati solo perché ieri sera, una volta entrati in paese, ce la
siamo trovata davanti quasi subito ed eravamo troppo stanchi per proseguire
la ricerca.

Neanche il tempo di uscire da Desvres,
con una discesa di qualche chilometro, e comincia a piovere.

Ci mettiamo i k-way, che naturalmente
proteggono dalla pioggia ma sotto fanno sudare.

Simone si lamenta di non avere
pensato di portare un altro capo impermeabile, da mettersi (asciutto) nelle
soste, e si ripromette di cercarlo lungo la via.


Alcune rampe assai ripide alternate
alle relative discese ci guidano attraverso una specie di rigoglioso parco
naturale, che se non piovesse e non cominciassimo ad accusare la stanchezza
del viaggio, troveremmo molto bello.
Si susseguono le deviazioni, in
mezzo alla campagna, cerchiamo di non perdere la strada giusta controllando
spesso la mappa.


Smette di piovere, e non incontrando
bar per svariati chilometri facciamo una pausa ristoratrice sdraiati (sotto
il sole che nel frattempo é spuntato) tra l’erba alta al bordo della strada.

Quando il sole viene coperto dalle
nubi fa quasi freddo.

Ormai mancano pochi chilometri
al paese di Guines, dove faremo una sosta “vera”, prima di fare gli ultimi
10-12 km. fino a Calais.


Facendo un po’ di conti ci appare
chiaro che paghiamo (e pagheremo…) il ritardo accumulato ieri causa forature.

Entriamo nel paese di Guines, dove
nella piazzetta comperiamo e mangiamo della frutta e in un bar beviamo
un cappuccino.

Insieme a questo ordiniamo anche
un croissant ma il barista ci spiega che quest’ultimo dobbiamo andare
a comperarcelo alla “boulangerie”
(fornaio) di fronte, e che poi possiamo
tranquillamente inzupparlo nel loro cappuccino.


Il luogo è allegro, si forma il
solito capannello di curiosi attorno ai nostri monopattini, poi giunge
un gruppo di cicloturisti inglesi con cui (compatibilmente col loro inglese
rapido e biascicato) scherziamo e ci raccontiamo qualcosa.


Si riparte e, prima della discesa
che porta fuori dal paese, vediamo un negozio di articoli sportivi (soprattutto
bici e pesca) dove Simone trova in offerta a soli 20€ un K-way giallo
della sua misura proprio carino, ed io acquisto una camera d’aria di scorta
per rimpiazzare quella bucata ieri.


I chilometri che portano a Calais
sono in pianura, costeggiando un canale.

Ad un certo punto dobbiamo affrontare
svincoli e cavalcavia per entrare in città.

Vediamo, alcuni chilometri prima,
le indicazioni per raggiungere il famoso tunnel dove, a bordo di un apposito
treno, si possono caricare i mezzi a motore.

Dopo qualche problema, e fermandoci
qualche volta a chiedere, finalmente entriamo nel gigantesco porto di Calais,
e dopo un giro complicatissimo raggiungiamo le biglietterie.


Ci fa arrabbiare il fatto che,
seguendo le indicazioni (chiaramente destinate alle auto e alle moto) finiamo
per fare all’interno del porto almeno 2 km.
più del necessario, il che
nelle nostre condizioni non è proprio il massimo.

Dopo avere verificato prezzi ed
orari delle due compagnie esistenti (una francese ed una inglese), optiamo
per quella francese perché… palesemente più economica!


Mancano circa 40 minuti alla partenza,
e decidiamo di andare a mangiare qualcosa nel grande buffet del porto.

Poi, verso le 13.30 ci imbarchiamo,
lasciamo i monopattini legati nella pancia del traghetto, insieme alle
auto e alle moto, e saliamo.


A bordo del traghetto beviamo qualcosa,
chiacchieriamo con una coppia di inglesi in moto, conosciuti durante l’attesa
prima dell’imbarco, e cambiamo un po’ di euro in sterline.


La coppia inglese ci dà informazioni
piuttosto allarmanti, avvertendoci che gli automobilisti inglesi sono molto
meno attenti di quelli francesi nei riguardi dei mezzi a due ruote e raccomandandoci
di stare molto attenti e di circolare molto "a sinistra";
i due inoltre ci danno indicazioni sulla strada che dovremo seguire, ancora
una volta diversa da quella da me calcolata, ma sicuramente più facile
da seguire.
Ad un certo punto a turno saliamo
sul ponte a guardare e fare delle foto.
C'è un gran vento, il canale della
Manica è un po’ cupo (il sole va e viene) ma molto spettacolare.

Sia Simone che io siamo già stati
in Gran Bretagna, ma solo a Londra, e naturalmente giungendovi in aereo.

L’idea che tra poco vi sbarcheremo
con soltanto i nostri monopattini fa un po’ impressione e mette un po’
di ansia, come se stessimo in qualche modo per abbandonare i confini del
mondo conosciuto e avventurarci nell’ignoto.


Specie la circolazione a sinistra
ci preoccupa alquanto, un conto è la fatica, altra cosa il rischio di essere
travolti per strada.
Saliamo infine di nuovo sul ponte,
questa volta insieme, per vedere le mitiche “Bianche scogliere di Dover”!

Nonostante le foto ed i film in
cui le abbiamo già potute vedere, ci rendiamo conto che dal vivo costituiscono
uno spettacolo splendido, sia per la forma che per il colore, quasi candido.


Scendere dal traghetto è facile
(i monopattini vengono fatti scendere per primi), non altrettanto uscire
dal porto.

Ci viene detto da tutti di seguire
una linea rossa tracciata sull’asfalto, lo facciamo correttamente (o almeno
crediamo di farlo), finché ci troviamo, dopo 10 minuti di docks, containers,
doganieri, ecc., dapprima davanti ad un cancello chiuso, e poi, dopo che
abbiamo suonato e ci hanno aperto, nel punto di prima, innanzi al traghetto
dal quale eravamo scesi!

Anzi, un doganiere si incazza pure,
pensando che vogliamo imbarcarci per la Francia senza biglietto!

Dopo esserci scusati operiamo un
nuovo tentativo di seguire la linea rossa e finalmente chiariamo l’equivoco:
in precedenza in occasione del primo “giro” non ci eravamo accorti di
un bivio ed invece di seguire la freccia “Exit” avevamo seguito quella
“Enter”.

Dopo la parentesi fantozziana (costataci
altri 20 minuti almeno) mettiamo il naso (e i monopattini) fuori dal porto
di Dover… ragazzi, siamo in Inghilterra!


 

Le due ore che seguono costituiscono
uno dei peggiori incubi della nostra carriera di sportivi dediti alle imprese
“estreme”.


Anzitutto (ma questo sarebbe il
meno) occorre portarsi all’altezza della vetta delle famose scogliere,
ove passa qualunque strada che va verso Londra, il che comporta una ascesa
di svariati chilometri partendo dal porto che (ma guarda un po’!), è posto
a livello del mare…

Ma soprattutto, non conoscendo
le strade e volendo comunque fare il tragitto più breve, ci troviamo a
percorrere almeno una ventina di chilometri su una spaventosa superstrada,
sulla quale, stando rigorosamente sul bordo sinistro della carreggiata
(cosa ovviamente del tutto innaturale per noi) scarpiniamo in salita, talora
avanzando sui monopattini, talora spingendoli a piedi, con un vento a raffiche
che ci flagella, mentre a poche decine di centimetri da
noi sfrecciano
bolidi di ogni tipo, e spesso camion che scodinzolano pericolosamente.

Più che la fatica è lo stress a
rendere la strada insopportabile.

Finalmente, dopo lunghe salite
e ripide discese (meno faticose ma più pericolose) l’incubo ha termine quando
– siamo ormai allo stremo della sopportazione più ancora nervosa che fisica
– i saliscendi finiscono, e la tremenda superstrada con traffico da circuito
da
formula uno, giunge ad una località dove, dopo varie rotonde, si capisce
che la vera autostrada per Londra inizia (ed è qui che – almeno si spera
– si concentrerà tutto il traffico veloce) mentre noi proseguiamo per
la statale che attraversa i paesi.


Ci rendiamo conto di non avere,
per il tratto inglese, una mappa precisa come in Francia.

Ci eravamo limitati, con un eccesso
di faciloneria, a stampare dal sito internet della Michelin il percorso
più breve escludendo le autostrade.

In realtà, ora che l’infernale
superstrada è finita, ci rendiamo conto, domandando informazioni alla gente
per strada, che pure escludendo l’autostrada i possibili percorsi per
arrivare a Londra sono tanti, e che non sarà semplice di volta in volta
prendere le decisioni giuste.

I soggetti interpellati poi ci
fanno capire che non mancheranno i saliscendi e che non sarà affatto una
passeggiata.

Quello che ci sconvolge, paese
dopo paese, è l'apparente impossibilità di ottenere dalla persone (pur
gentili) dati certi ed esaurienti.

Mentre il pomeriggio avanza, Simone
rischia di finire sotto una macchina, dimenticandosi, come era prevedibile,
di controllare a destra, anziché a sinistra, in occasione dell’attraversamento
di una strada.


Ci troviamo ad impiegare mezze
ore per uscire da un paese dalla parte giusta e riprendere la statale,
e ci troviamo soprattutto (con quale senso di frustrazione è facile immaginarlo)
a sentirci dire in cinque minuti da due persone diverse che a Londra mancano
“ottanta miglia” e “quaranta miglia”.


Lì per lì ci incazziamo ma poi
ci rendiamo conto che ormai l’umanità dei paesi occidentali è abituata
esclusivamente a ragionare in termini di automobile e di percorsi autostradali,
almeno quando ci sono di mezzo tragitti extraurbani.

In fondo anche noi, se venissimo
fermati in centro a Bologna da due folli in monopattino che ci domandassero
in quale direzione andare per arrivare a Napoli, avremmo serie difficoltà
ad indicare loro la via.

A parte la guida a sinistra, che
teoricamente è semplice ma richiede una attenzione costante (se ti dimentichi
una volta rischi la vita…) notiamo un paesaggio, rurale ma soprattutto
urbano, diversissimo da quello Francese.

In particolare ci colpisce la quasi
totale assenza di bar, così come siamo abituati a conoscerli in Italia
ma anche in Francia, i classici bar lungo la strada, con i tavolini all’aperto.

Qui ci sono o delle specie di fast
food, o take away, spesso orientali, oppure i tipici pub, che però aprono
solo nel pomeriggio.


Convinti dalla nostra pseudo mappa
scaricata da internet di dover passare da Canterbury, famosa per l’omonima
abbazia, finiamo per perderci, e dopo avere vagato per colline e campi
ed avere chiesto aiuto prima ad una gentilissima pattuglia della polizia
del Kent e poi ad alcuni bambini in bicicletta (naturalmente curiosissimi
dei nostri monopattini) decidiamo una volta per tutte che, a costo di fare
qualche chilometro (anzi, qualche miglio) in più, fino a Londra non lasceremo
più la statale chiamata A20 che, come tutti ci dicono concordemente, porta
indubitabilmente nel centro della capitale.


Si susseguono i paesi, mentre si
avvicina la sera.
La campagna del Kent è bella, molto
verde, incontriamo fagiani, scoiattoli che attraversano la strada, anche
una povera volpe morta, c
ertamente investita da un’auto.
Dopo una prima sosta in un locale
indefinibile (incrocio tra un fast food, un bar e una rosticceria) per
provare l’”apple pie” (dolcetto che risulterà strafritto e pieno di
pezzi di mela alla temperatura del piombo fuso tanto da strinarci la lingua),
ormai stanchi facciamo quella che riteniamo l’ultima sosta della giornata
in un pub dove prendiamo due aranciate.

Bevendo, seduti all’esterno su
una panca di legno, commentiamo il fatto che le persone incontrate sino
ad ora sono state gentili, ma non è facile capirle.

Specie Simone che parla un buon
inglese dice di fare molta fatica a cogliere certe frasi veloci, insomma
non è come parlare con tedeschi, giapponesi o ungheresi che parlano l’inglese
“scolastico” come noi.

Ci diciamo anche che speravamo
di essere molto più avanti nel tragitto, in modo da dovere fare l’indomani
solo (si fa per dire) una cinquantina di chilometri, ma ormai è quasi buio
e non ce la facciamo più.
Sogniamo di lavarci via il sudore
della giornata con una bella doccia calda, di fare una bella cena e di
andare a letto prestissimo in un comodo lettino caldo dopo avere fatto
un po’ di stretching.

Perciò, poco dopo essere ripartiti
non ci pare vero quando vediamo al lato della statale un “Holiday Inn”.

Ci insospettisce solo la presenza
di alcuni pullman nello spiazzo davanti.

Ci fiondiamo a parlare con la donna
alla reception, e le notizie che ne ricaviamo sono a dir poco tragiche.

L’hotel é strapieno, idem dicasi
degli altri due o tre alberghi della catena presenti nella regione.

Non solo, ma la signora, assai
gentile, ci spiega che è il peggior fine settimana dell’anno per cercare
una stanza nel Kent, dato che, a parte il finale del torneo di Wimbledon
a Londra (domani Federer e Nadal si giocheranno il titolo) ci sono un grosso
torneo internazionale di golf a qualche decina di chilometri da qui nonché
una festa folkloristica molto rinomata a pochi chilometri.
Forse, azzarda sempre la signora,
si potrebbe trovare da qualche parte un Bed & Breakfast, anche se non
sa dirci assolutamente dove.

Usciamo delusissimi e ci troviamo
ormai al buio.


La stanchezza ci è piombata addosso
all’improvviso, abbiamo percorso o
rmai 100 chilometri in monopattino in
un solo giorno, cosa che non ci era mai capitata nella nostra vita, siamo
al buio su una statale pericolosa, senza fanali e senza una indicazione
precisa su dove trovare un posto per dormire.

Raggiungiamo in fretta il paese
successivo, dove un gruppo di persone ci parla dell’esistenza di un Bed
& Breakfast che però si dovrebbe trovare (se esiste ancora) “up hill”,
cioè, tradotto, in cima alla collina.
Sono le nove di sera, e come due
disperati spingiamo i monopattini a piedi su per una salita che porta ad
un gruppo di ville.
Dopo molte ricerche finalmente
troviamo il posto, entriamo, suoniamo ma nessuno risponde.

C’è nel cortile un’auto di targa
olandese, probabilmente le stanze sono già state affittate, e sia i proprietari
che i turisti sono a divertirsi al pub; in fondo è sabato sera.

Scendiamo da dove siamo venuti,
nel buio più pesto, il gruppetto di persone di prima ci informa del fatto
che a due o tre chilometri, appena fuori dalla statale, c’è il paesetto
di Lenham, nella cui piazzetta ci dovrebbero essere due o tre locande.

Decidiamo che quella sarà comunque
l‘ultima meta della giornata, se non troveremo un letto cercheremo là
un cartone o una panchina.

Il problema è che comincia a fare
parecchio freddo, sicuramente esasperato dal nostro tremendo grado di stanchezza.

Entriamo in paese alla dieci e
passa, lasciamo i mezzi nella piazzetta ed entriamo nella prima locanda,
il “Red Lion”, che è anche pub.

La risposta, che sotto sotto ci
attendevamo, è che le stanze sono tutte occupate, e ci viene detto di provare
negli altri due alberghi agli altri lati della piazza.

Ma in entrambi la risposta é identica.
Veniamo colti dallo scoramento,
non tanto per la prospettiva di una notte all’addiaccio ed eventualmente
in bianco (Simone ed io abbiamo dormito o anche solo riposato in posti
ben peggiori e più pericolosi) quanto per la netta sensazione che in questo
modo diventi impossibile avere l’energia per arrivare a Londra il giorno
successivo.


Simone a questo punto prende una
decisione molto razionale, che suona più o meno così: abbiamo due grossi
problemi, quello della cena e quello del riparo, se non dormiamo quasi
certamente non arriveremo a Londra, ma se non ceniamo immediatamente
è
certo che cascheremo per terra dalla debolezza; quindi intanto ceniamo
e poi penseremo al resto.


Io concordo, e così rientriamo
al “Red Lion”, questa volta chiedendo di cenare.


Ma i gestori (o camerieri, non
si capisce bene), ci dicono che ormai è tardi, e la cucina è chiusa, servono
solo birra e stuzzichini…

Naturalmente negli altri due pub
della piazza, collegati alle relative locande, la risposta è identica,
sono le undici di sera, siamo tutti sudati, stanchi morti, vorremmo mangiare
e soprattutto dormire, e ci viene da piangere…


Ci viene detto che forse, dall’altra
parte del paesetto, ci dovrebbe essere un take away cinese che chiude tardi… naturalmente
ci trasciniamo là, ciondolando sui nostri monopattini come due zombi.

Il posto esiste, è squallido ma
ben riscaldato, ed entrarvi è un sollievo.

Tentiamo di impietosire la cinese
titolare del locale, spiegandole la situazione e chiedendole se fosse mai
possibile, pagando s’intende, dormire per terra all’interno del locale
stesso, o in una qualche stanza annessa.

La tizia ci risponde di no.

A quel punto decidiamo almeno di
nutrirci, ordiniamo abbondante riso con
pollo, e quanto meno otteniamo
il permesso di restare a mangiare dentro il locale al caldo, seduti sull’unica
panca.


Naturalmente, quando andiamo in
bagno a fare pipì ne approfittiamo per cambiarci e metterci addosso qualcosa
di asciutto.

Purtroppo col caldo che faceva
in Italia non abbiamo pensato di portarci (anche per motivi di peso del
bagaglio da trasportare sul monopattino) qualcosa di più pesante.

Mentre mangiamo scende dalle scale
un tizio inglese, e così scopriamo che al piano di sopra c’è anche qualche
tavolo dove delle persone stanno finendo di cenare.

Il tizio incuriosito attacca bottone
e noi ne approfittiamo per chiedergli aiuto.

L’uomo pare prendersi a cuore
la nostra situazione, spiega di conoscere bene gli alberghi della regione
perché la gira parecchio per ragio
ni di lavoro, prende il cellulare, chiede
alla cinese l’elenco del telefono ed inizia a chiamare degli alberghi
per noi.
Dopo dieci minuti, mentre finiamo
di mangiare ed intanto lo ringraziamo di cuore di ciò che sta facendo,
anche il tizio si arrende, dovunque gli hanno detto di non avere neppure
mezza stanza libera.

L’uomo, imbarazzato, esce dal
locale seguito dai suoi amici, augurandoci “di tutto cuore” di trovare
una soluzione per la notte.

Il locale intanto si sta svuotando
e la cinese comincia a dar segno di voler chiudere, io dico a Simone che
dovremo accettare di stenderci su di una panchina nella piazza, e tentare
di ripartire appena spunterà l’alba.
Simone ritiene la cosa impossibile,
dice che stanotte farà troppo freddo, usciamo e gli devo dare immediatamente
ragione, ci saranno dieci gradi, e la stanchezza, l’abitudine al tepore
del locale nonché la digestione fanno il resto.


Simone non vuole arrendersi e propone:
“Facciamo il giro dei tre pub e tentiamo di impietosire qualcuno per vedere
se ci offrono una stanza, anche un garage!”.

Mi pare assurdo, e lo seguo senza
convinzione, solo per passare un altro po’ di tempo in un altro posto
riscaldato.

Entriamo per la terza volta al
“Red Lion”, dove ormai ci riconoscono
e ci chiedono se abbiamo trovato
una soluzione per la notte.

Diciamo di no, io mi siedo in un
angolo mentre Simone incomincia il suo show.

Ormai sono rimasti nel pub sei
o sette avventori, tutti del paese e tutti amici della proprietaria.

Simone in un inglese più che accettabile
tenta abilmente di toccare le corde della simpatia e della solidarietà.


Si presenta una tizia, mezza brilla,
che racconta di avere lontani parenti in Italia e così si comincia a fraternizzare;
dopo un po’ la proprietaria, che evidentemente inizia a temere di doverci
ospitare lei nelle cucine del locale, inizia a sensibilizzare gli astanti,
invitandoli ad un gesto di generosità nei confronti dei simpatici bravi
ragazzi italiani arrivati sin lì da Parigi col monopattino.

Pare fantascienza, e ancora adesso
fatico a crederci mentre lo racconto, ma salta fuori

una coppia (entrambi allegri e
abbastanza bevuti, entrambi con gli occhi lucidi) che si offre di ospitarci
a casa.

Ci pare impossibile, crediamo di
avere capito male ma è proprio così.

Cominciamo a ringraziarli vivacemente,
e vorremmo quanto meno offrire loro qualcosa da bere, allora lui propone
di andarlo a bere in un
altro pub vicino a casa loro.
Ovviamente accettiamo, salutiamo
e ringraziamo tutti gl
i altri e usciamo a prendere i monopattini, ma quando
i due escono e ci raggiungono la moglie ha fortunatamente convinto il marito
che siamo troppo distrutti per andare in giro a bere con loro, e che desideriamo
soltanto dormire.

Così ci accompagnano a casa loro,
una tipicissima villetta a schiera molto British, ci fanno legare i monopattini
in cortile, ci fanno depositare le nostre cose in una stanza al piano terra
e salgono a confabulare al piano superiore.

Siamo imbarazzatissimi, sia per
la situazione in generale (siamo a casa di perfetti estranei in un paese
dimenticato da Dio della campagna inglese) sia perché ci accorgiamo (Simone
specialmente) dopo quattro giorni ininterrotti di monopattino senza lavare
gli indumenti, di fare una puzza terrificante.

Non capiamo se quella è la stanza
dove passeremo la notte, ma poco dopo ci chiamano, e capiamo che invece
dormiremo al piano superiore, in una stanza con un letto di fianco al quale
i due hanno posto un altro materasso con tante coperte.

Poi, per rendere la situazione
perfetta, i nostri due angeli salvatori ci conducono in bagno, dove hanno
riempito di acqua calda la vasca per permetterci di lavarci.

Infine i due (e anche questo pare
assurdo) dopo averci mostrato tutto salutano e se ne vanno a continuare
il giro dei pub, lasciandoci soli in casa loro (!!) e raccomandandoci di
riposare bene e di salutarli domattina prima di ripartire (!!!).


La prima cosa che ci diciamo è
che mai in Italia saremmo tanto generosi e soprattutto tanto confidenti
nel prossimo.

Evidentemente chi gira il mondo
in monopattino dà l’idea del ragazzo perbene, anche se puzza ed ha la
barba di alcuni giorni.

Dopo esserci lavati a turno (io
nell’acqua sporca del precedente lavaggio di Simone, ma va benissimo lo
stesso!), ci addormentiamo, io nel letto e Simone, che è più lungo e deve
poter stendere le gambe, sul materasso.

Un attimo prima di dormire ci diciamo
che forse, a questo punto, potremo tentare di arrivare domani a Londra,
centrando la grande impresa.

Ci diciamo anche che è stata una
giornata indimenticabile, p
er un sacco di motivi.

Infine puntiamo la sveglia alle
sette e sprofondiamo nel nirvana dei monopattinatori.
 


PARTENZA: Desvres (FRA)
Calais (FRA) - Dover(GBR)

ARRIVO: Lenham

107 km circa in 7h 50'
(circa perché il piccolo gps Garmin
che funge da contachilometri, posto sul manubrio
del monopattino, dopo
le oltre 12 ore in cui è stato acceso si è scaricato del tutto
spegnendosi
di sera nel mezzo delle campagne inglesi…)





06 Luglio 2008 Domenica

Quando la sveglia suona ci alziamo
e ci prepariamo silenziosamente e in fretta, per non disturbare i padroni
di casa.

Ci viene decisamente da ridere
pensando a dove siamo e a tutto quello che è accaduto ieri.

Benché stanchi (una buona notte
di sonno era indispensabile, ma non certo sufficiente a recuperare completamente
le energie) siamo tuttavia euforici: se tutto andrà bene oggi giungeremo
a Londra!


Ci vestiamo per l’ennesima volta
da monopattinatori, uno strano incrocio tra ciclisti e podisti: naturalmente
gli indumenti sono sempre i soliti e stanno praticamente in piedi da soli.
Un attimo prima di uscire salutiamo
i due padroni di casa, che dormono nella stanza di fianco alla nostra e
attraverso la porta rispondono con la voce impastata di sonno ai nostri
saluti e ringraziamenti, prima di girarsi dall’altra parte e riaddormentarsi.

Chissà quante birre si sono fatti
ieri sera, e soprattutto chissà se da sobri ci avrebbero invitati lo stesso
a casa loro!


Comunque ieri sera ci eravamo fatti
dare da loro il numero di telefono e l’indirizzo di posta elettronica così
da poterli ringraziare una volta arrivati a Londra, sempre se ci arriveremo.

Fotografiamo la villetta e passiamo
davanti al pub “Red Lion” che alla luce del mattino non pare neppure
lo stesso luogo di ieri notte.

Fa freschino e sta (tanto per cambiare)
per piovere.

Riprendiamo la statale, e dopo
neanche mezz’ora decidiamo che dobbiamo assolutamente fare una lauta colazione.

Passata l’euforia dello scampato
pericolo di ieri ci rendiamo conto che per giungere alla meta mancano ancora
più chilometri di quanti ne abbiamo mai fatti in allenamento nei mesi scorsi.
La statale ed i paesi paiono deserti,
superiamo Maidstone senza riuscire a vedere, almeno restando sulla statale,
un vero bar dove fermarci.

Cominciamo ad avvertire i morsi
della fame, tutti gli altri giorni abbiamo sempre fatto un’abbondante
colazione prima di partire.

All’improvviso al lato della strada
si materializza una struttura che, leggendo i cartelli, risulta essere
una specie di elegante Country Club, con annesso Centro Fitness, sala Congressi
ecc.

Vediamo anche (poi all’interno
ce lo confermeranno) che l’elegantissimo ed esclusivo complesso, immerso
nella splendida campagna del Kent, fa parte di una catena di cui l’Amministratore
è nientepopodimeno che il leggendario Sebastian Coe, grande corridore degli
anni ’80, campione olimpico e primatista mondiale, specialista nelle distanze
comprese tra gli 800 metri ed il miglio.

Lasciamo i monopattini fuori ed
entriamo, dirigendoci verso un lussuosissimo ed ovattato salone dove si
trova un mega buffet con ogni ben di dio, per giunta a prezzo fisso (anche
se parecchio alto…).

Per quindici sterline a testa possiamo
mangiare tutto quello che vogliamo, e noi non ce lo facciamo ripetere due
volte, facendo fuori brioches, frutta, uova, prosciutto, e chi più ne ha
più ne metta, il tutto in ordine sparso, evitando soltanto, con un pizzico
di ritegno da sportivi, di assaggiare cose tipo bacon, wurstel, panna montata,
ecc.


Siamo seduti tutti sudati in braghini
e maglietta, col casco appoggiato alla sedia, in mezzo a signore elegantissime
che sorseggiano il loro the, e ci guardano incuriosite.

Ripartiamo e purtroppo, dopo pochi
chilometri, comincia a piovere.

Attraversiamo sotto la pioggia
vari paesi, sempre con il problema di non perderci nel centro abitato e
di riuscire ad uscire dall’altra parte proseguendo nella giusta direzione;
ricomincia anche il balletto delle informazioni diversissime che le varie
persone interpellate ci forniscono circa le miglia che mancherebbero al
centro di Londra.

Pioggia a parte le cose sembrerebbero
andare nelle giusta direzione quando all’improvviso, subito dopo una breve
sosta per bere e togliere il k-way (ha nuovamente smesso di piovere) Simone
lancia un grido, ferma il monopattino e con una smorfia di dolore in viso
inizia a zoppicare.


Ha avvertito una improvvisa fitta
alla parte bassa del polpaccio sinistro, conseguenza – sostiene – dell’infiammazione
al tendine comparsa da un paio di giorni.

Lo vedo molto addolorato e, soprattutto,
preoccupato; dice di sentire parecchio male e che dovrebbe trattarsi di
uno stiramento conseguente alla postura scorretta (con la caviglia più
rigida del dovuto) con cui sta monopattinando da almeno un giorno.

Prova a ripartire ma gli fa davvero
male; il momento è drammatico, mancheranno cinquanta chilometri, che dopo
cinque giorni sarebbero tanti anche stando bene.

Vengo colto da un grandissimo senso
di delusione ma gli propongo, inevitabilmente, di fermarci e cercare un
treno o un pullman con cui arrivare a Londra, rinunciando così al nostro
sogno.

Ma Simone, anche zoppo, vuole provare
a continuare, costi quel che costi: dice che è dall’autunno scorso che
ci alleniamo, e che se mancassero due giorni dovrebbe necessariamente rinunciare,
ma a tre ore da Londra non intende fermarsi.

Ripartiamo con lui davanti, che
silenzioso e sofferente, avanza lentamente  come può, mentre io lo
seguo con ansia.

Ricomincia la pioggia, e vedo che
Simone, che non riesce ad azionare la caviglia, è costretto a compensare
abbassandosi tantissimo in modo innaturale sul ginocchio sinistro, che
naturalmente si affatica troppo.

Quando ci rifermiamo, in una specie
di piazzola di servizio davanti ad un minimarket, mi dice che così non
può continuare, ma che ha avuto un’idea.

Vuole provare ad abbassare l’assetto
del monopattino, in modo da doversi piegare di meno ad ogni calcio, avanzando
soltanto grazie alla spinta data dalla punta del piede.

La cosa è fattibile in quanto i
nostri monopattini sono regolabili secondo due possibili assetti; normalmente
usiamo quello più alto, un po’ più faticoso ma necessario per non strisciare
contro l’asfalto ad ogni piccola asperità del terreno.

Compiamo l’operazione e ripartiamo:
fortunatamente l’accorgimento si rivela azzeccato, tanto che Simone dice
di riuscire ad avanzare con meno fatica e sofferenza: unica controindicazione,
gratta contro l‘asfalto ad ogni salita e discesa dal marciapiede, ma pazienza.

Rinfrancati telefoniamo a Giovanna
e Giovanni, che ci aspetteranno all’arrivo fissato innanzi a Buckingham
Palace; non sono in casa, ma gli lasciamo un messaggio, riferendo loro
del probabile ritardo e promettendo di richiamarli più tardi quando avremo
la certezza di arrivare.

Simone, anche se un po’ zoppo,
col nuovo assetto ha ripreso vigore; passiamo vicino al campo da golf (segnalato
decine di chilometri prima in modo maniacale) ove sta svolgendosi un torneo
del Tour Europeo, poi nei pressi del circuito automobilistico di Brands
Hatch, e finalmente, quando la campagna ed i paesi finiscono e ci troviamo
in mezzo ad un groviglio di stradoni e relativi cartelli, tocchiamo con
mano che siamo ormai ai confini della metropoli.

Abbiamo bisogno di pranzare, ma
la zona non sembra offrire molto: pub chiusi e poco altro.

Dopo avere chiesto informazioni
imbocchiamo di malavoglia (ma non paiono esserci alternative praticabili)
una specie di superstrada, che ci porterà in città: le auto sfrecciano,
ricomincia a piovere e gli svincoli sono pericolosi, non ci sono bar o
ristoranti dove fermarsi, siamo bagnati ed infreddoliti, ma cominciamo
anche a sentirci euforici, stiamo entrando a Londra.


Ci rendiamo conto che già al secondo
giorno il nostro processo di adattamento alla circolazione a sinistra ha
fatto passi da gigante; dopo vari chilometri finalmente termina il micidiale
tratto simil-autostradale e usciamo in un tranquillo quartiere della periferia.

Avviciniamo un tizio con barba
e cappello e gli chiediamo come proseguire per il centro.


L’uomo si rivela simpatico e stravagante,
è già palesemente ubriaco prima di pranzo, ci spiega come entrare in centro
senza perderci e vuole assolutamente provare uno dei nostri monopattini:
Simone si sacrifica e gli fa fare un giretto di un centinaio di metri.
Osserviamo l’uomo da pub allontanarsi ondeggiando paurosamente, ma quando
ritorna innanzi a noi e ci riconsegna il mezzo è a dir poco entusiasta
e vuole sapere dove si può comprare un monopattino così: “Sarebbe fantastico
– dice in un inglese che ci mettiamo un po’ a tradurre – così la sera
potrei arrivare al pub in fretta e senza rischiare che la polizia mi fermi
ubriaco in macchina!”

Lo salutiamo e ripartiamo.

Seguiamo per alcuni chilometri
le indicazioni (precise, a dispetto del tasso alcolico) e ci troviamo nientemeno
che a Greenwich, quartiere noto a livello planetario perché si è deciso
convenzionalmente che da lì passa il meridiano 0°, il corrispondente da
nord a sud dell’equatore.

Ricomincia a piovigginare per l’ennesima
volta, e siamo costretti spesso a chiedere informazioni per puntare verso
la nostra meta, mentre la vastità della città scorre sotto le nostre ruote.

Sono tutti gentili: gli Inglesi
(ovviamente quanto accaduto ieri sera ci ha condizionato favorevolmente)
cominciano a risultarci simpatici, e stiamo rivedendo vecchi pregiudizi
che forse un po’ ci condizionavano quando siamo passati dalla provincia
Francese a quella Inglese.

Per la verità anche quest’anno
(come l’anno passato in Slovenia) siamo stati trattati bene quasi ovunque,
forse anche – ma non solo - perché l’immagine del monopattino genera
simpatia.

Per aggirare il mostruoso ingorgo
di traffico diretto verso il centro città (dovrebbero essere i gitanti
della domenica pomeriggio) facciamo ampio utilizzo dei marciapiedi, salendo
e scendendo nonché sgusciando tra le auto incolonnate, i cui passeggeri
sovente ci guardano incuriositi.

Indubbiamente quello della maneggevolezza
nei contesti urbani è uno degli aspetti più piacevoli e divertenti del
monopattino.

Simone però, che ha dovuto precedentemente
abbassare l’assetto del suo mezzo, si diverte un po’ meno di me rischiando
di “grattare” (e talvolta facendolo effettivamente) ogni volta che sale
e scende da un marciapiede.

Il male al polpaccio è ora sopportabile,
sicuramente anestetizzato dall’adrenalina del traguardo a portata di mano.


Finalmente, ormai prossimi al centro
(mancheranno – ci viene detto – una decina di chilometri) compaiono numerosi
bar e ristoranti aperti e, infreddoliti, fradici ed affamati, decidiamo
di fare la pausa per il pranzo (sono ormai le 14).

La scelta cade su di una specie
di fast food, non certo perché sia il tipo di locale che amiamo (anzi),
bensì solo perché per il tipo di
clientela e di ambiente pensiamo sia l’unico
posto dove riusciremo ad asciugarci, cambiarci, telefonare e rimanere a
lungo in attesa che spiova e comunque che venga l’ora in cui ripartire
per essere all’”arrivo” puntuali per incontrarci con chi ci attende.

Dunque entriamo, andiamo in bagno
e ci cambiamo, e prima di ordinare telefoniamo sia a Giovanna e Giovanni
(che stavolta rispondono) sia a mia madre, che è venuta a Londra insieme
a mia Zia per assistere al nostro arrivo.

Con tutti loro (che nel frattempo
si sono messi in contatto per incontrarsi in vista del nostro arrivo) concordiamo
di trovarci alle 16, nello spiazzo di fronte a Buckingham Palace (l’ambizione
segreta sarebbe quella di essere ricevuti a Palazzo da Sua Maestà Elisabetta
II entrando in monopattino, e di essere infine – perché no – nominati
baronetti per meriti sportivi!).


Purtroppo, nonostante la pioggia
ed il clima freddo all’esterno, il locale  tiene al massimo l’aria
condizionata, e dopo nemmeno mezz’ora siamo semi-congelati e fuggiamo
fuori (come è vero che tutto è relativo: dopo mezz’ora là dentro è quasi
un piacere uscire sotto la pioggia tiepida...)

Si riparte, in piena euforia, mancano
meno di quaranta minuti di “calci all’asfalto” e ci viene spontaneo
ricordare sia i sacrifici ed i tanti chilometri percorsi in allenamento
nei mesi scorsi, sia le numerose avventure (e dis-avventure) incontrate
da Parigi a qui.


La città ci si mostra intanto in
tutta la sua varietà architettonica e soprattutto etnica: attraversiamo,
sempre salendo e scendendo in allegri slalom tra strada e marciapiedi,
interi isolati o quartieri caratterizzati da un’assoluta prevalenza di
persone provenienti da aree geografiche extraeuropee: talvolta asiatici,
quindi neri caraibici, poi Indiani, e così via: un mosaico estremamente
stimolante; dappertutto anche bar, negozi e ristoranti specializzati in
cibi “etnici”.

Come per incanto, quasi la città
volesse finalmente darci il benvenuto e complimentarsi con noi, cessa la
pioggia, il cielo si apre e spunta il sole.

Poiché siamo in largo anticipo
sulla tabella di marcia (siamo fuggiti dal gelo del locale senza prendere
dolce e caffè) decidiamo di gratificarci con un’ultima sosta.

Scegliamo la splendida terrazza
soleggiata di un bar gestito da orientali e fornito di  maxischermo
dove ci gustiamo un buon dessert ed un caffè espresso quasi decente mentre
osserviamo il termine del primo set della finale di Wimbledon (a non tanti
chilometri da dove siamo noi) tra Federer e Nadal.

Dopo quattro scambi Simone, che
sta attraversando un vero stato di grazia nei pronostici sportivi, formula
il suo vaticinio (che naturalmente si avvererà) secondo cui oggi Nadal
vincerà capovolgendo le gerarchie sull’erba londinese.


Infine, alle 15.40, ripartiamo:
il centro di Londra si spalanca innanzi ai nostri monopattini, ci accodiamo
a qualcuno dei famosi autobus rossi percorrendo alcune corsie preferenziali;
infine, dopo avere chiesto le ultime informazioni, vediamo da lontano la
ormai celeberrima ruota panoramica inaugurata per il capodanno del 2000,
e dopo altri minuti trionfali ed emozionanti siamo sulla sponda del Tamigi
e di fronte a noi c’è la torre del Big Ben!

Facciamo varie foto alla torre
dell’orologio e ce ne facciamo fare qualcuna insieme da uno dei tantissimi
turisti.

I colori del cielo sono suggestivi
e quasi irreali: c’è ancora il sole ma stanno tornando dei nuvoloni neri
e il cielo è livido; tutto ciò si riflette sull’acqua del fiume con sfumature
irripetibili (che speriamo di essere riusciti a rendere almeno in parte
nelle foto).

Ripartiamo: ancora un paio di chilometri,
le ultime informazioni forniteci da un gruppetto di turisti Italiani provenienti
proprio da Buckingham Palace, e imbocchiamo il lungo rettilineo pedonale
destinato teoricamente ai turisti a piedi (ma si sa che in monopattino
ci si può intrufolare ovunque).

Prima ancora che noi giungiamo
trionfalmente nello spiazzo prospiciente il Palazzo Reale, Giovanni, che
ci sta aspettando ed è un fotografo provetto, comincia a scattare le sue
foto, destinate insieme alle nostre a fungere da corredo fotografico a
questo racconto.


Insieme a lui Giovanna e la piccola
Giulia detta “Cippis”, protetta dalla sua carrozzina perché sta per ricominciare
a piovere.

Accanto a loro mia madre (Marisa,
per chi non lo sapesse) e la zia Lola, entusiaste e scatenate come due
hooligans.


Travolti dal loro affetto ed entusiasmo
ci esibiamo in una serie di giri della piazza in monopattino ad uso del
fotografo Giovanni, mentre i numerosi turisti osservano la scena incuriositi.
 


Anche se la Regina non ci riceverà
ne è valsa la pena.
 
PARTENZA: Lenham (GBR)

ARRIVO: Londra (GBR)


Km. 83 circa in circa 5h. 43’
(il
contachilometri gps era sempre morto e dove abbiamo

dormito le prese elettriche
non erano compatibili sicché
non è stato possibile ricaricarlo)


 
 
Ci avviamo quasi di corsa sotto
una specie di diluvio verso la più vicina fermata della metropolitana,
noi due diretti a casa di Giovanni e Giovanna, che ci ospiteranno, mamma
e zia al loro albergo; ci incontreremo tutti a cena stasera per festeggiare.


Nel metro avremo grossi problemi
a fare passare i monopattini, che i funzionari non vorrebbero fare salire
a bordo essendo vietate le biciclette.

Ma i monopattini – spieghiamo
noi – non sono biciclette, e Simone (abituato alle argomentazioni giuridiche)
fa notare che tutto ciò che non è espressamente vietato è da considerarsi
consentito.

Ci lascerebbero a piedi se Giovanna
con la sua sensibilità femminile non li impietosisse raccontando loro che
siamo giunti fino a lì da Parigi.
Per i nostri milioni di tifosi,
interessati non soltanto alle imprese sportive ma anche a qualsiasi dettaglio
della nostra vita, aggiungo che, dopo una doccia storica e non più procrastinabile
per motivi di ordine pubblico, trascorreremo a Londra una bella serata
tutti assieme in un ristorante Indiano; si aggiungerà anche una mia cugina
che vive a Londra.


Prima di uscire per la cena, da
casa di Giovanna e Giovanni telefoneremo alla coppia di Lenham che ci aveva
ospitato: parlerà soprattutto Giovanni abituato all’inglese rapido degli
Inglesi “veri”, noi li ringrazieremo tantissimo promettendo loro di inviargli
delle foto.

L’aspetto davvero divertente è
che Giovanni scoprirà, parlando con il marito, che questi lavora per una
grossa società che si occupa di profumi: solo una perversa legge del contrappasso
può far sì che una persona abituata per lavoro ad annusare profumi ed essenze
si trovi in casa le due creature più puzzolenti d’Europa quali noi eravamo
ieri sera.

Il giorno seguente, a dispetto
della stanchezza e della zoppia di Simone (che a freddo, passato l’entusiasmo
dell’arrivo, si ritroverà con un forte dolore sia al polpaccio stirato
sia al tendine infiammato ed avrà problemi per oltre due mesi) lo dedichiamo
allo shopping.

Ci concentriamo su due settori:
giochi e scherzi (cavallo di battaglia di Simone) e abbigliamento ed attrezzatura
da montagna (passione di entrambi).

Inutile dire che Londra offre di
tutto.


Giovanna ci raggiungerà in centro
per pranzare e girare altri negozi con noi, abbandonando per alcune ore
il suo laboratorio; poi passeremo a prendere Giulia all’asilo.


Simone (in chiara crisi di astinenza
dalla sua piccola Lulù, che non vede da oltre una settimana) dedica un
sacco di tempo alla piccola Giulia, davvero carina e simpatica, che lo
ricambia con lo stesso entusiasmo
e gli sta sempre appesa al collo, come
Cita con Tarzan.


Poi, la sera, impacchettiamo di
nuovo i monopattini in giardino, mentre tanto per cambiare la pioggia riprende
a cadere infradiciandoci.

Ci salutiamo affettuosamente (Giovanna
e Giovanni appartengono alla categoria impagabile degli amici che sono
in realtà dei parenti) e ci dirigiamo con tutte le nostre cianfrusaglie
al Metro.

Da qui alla stazione ferroviaria,
dove rischieremo di perdere il treno sempre a causa dei monopattini, considerati
anche qui bagagli non consentiti: solo dopo molte discussioni ci daranno
il via libera, ma “solo per questa volta”.


Londra-Parigi sul TGV, arrivo a
Parigi dopo mezzanotte, trasferimento in metro (dopo una discreta attesa
per la coincidenza) al solito hotel dell’andata, vicino alla stazione.


Poche ore di sonno e, la mattina
successiva (martedì 7) treno da Parigi a Bologna, dove giungeremo stanchissimi
(Simone claudicante e con una caviglia gonfia come un melone) verso le
16.

A presto, per qualche nuova avventura
(nelle lunghe ore in treno i progetti, peraltro già esistenti, hanno avuto
occasione di essere approfonditi…)



DATI COMPLESSIVI:

· TOTALE
CHILOMETRI: 452,62 circa

· TOTALE
TEMPO EFFETTIVO: 32h.28’ circa

· MEDIA
13,94 Km./h




Se volete vedere tutte le foto del viaggio potete trovarle qui




This page is powered by Blogger. Isn't yours?